Matematica in versi

Paolo Caressa (1993)




Come molti sapranno, la scoperta delle formule risolutive dell'equazione di terzo e quarto grado appartiene a Scipione dal Ferro, Niccolò Tartaglia e Ludovico Ferrari. Ora, intorno all'equazione di terzo grado, che è un po' la tappa iniziale del risveglio delle matematiche moderne, ci fu una clamorosa disputa.

A quel tempo, parliamo del '500, era in uso indire delle pubbliche disfide fra matematici, durante le quali gli antagonisti si lanciavano problemi da risolvere a vicenda. In genere, tali problemi consistevano in equazioni algebriche da risolvere, e chi proponeva un problema doveva anche essere in grado di risolverlo, se non voleva essere "squalificato".

È chiaro quindi che dalla vittoria dipendeva la propria fama di buon matematico o, in caso di sconfitta, di emerito incapace. Ora accadde che nel 1515 il bolognese Scipione dal Ferro scoprisse appunto la formula risolutiva dell'equazione generale di terzo grado. Tale formula rimase "nascosta" nell'ambiente matematico bolognese per diversi anni. Era un po' come un'arma segreta da usare in caso di ardue disfide. Ed infatti, nel 1530, Antonio Maria del Fiore usò la formula di dal Ferro per sfidare sulla pubblica piazza il bresciano Zuannin de Tonini (detto il Colla) che a sua volta, nel 1534, propose un problema di terzo grado a Niccolò Tartaglia.

Girolamo Cardano

Poiché, a differenza degli altri due, Tartaglia era un fine matematico, il solo fatto di sapere che tali problemi sono risolubili lo guidò alla scoperta della soluzione. In seguito Tartaglia confidò la sua formula a Girolamo Cardano, "per mezzo di certi orribili versi" come dice Frajese nel suo classico trattato di storia della matematica, richiedendo però a Cardano stesso di dare solenne giuramento di non rivelare la "formula segreta".

Riporto i sibillini versi, che il lettore potrà divertisti a decifrare consultando il glossario alla fine dell'articolo (e tenendo presente la formula risolutiva dell'equazione di terzo grado x3+px=q)

Quando che'l cubo con le cose appresso
Se agguaglia a qualche numero discreto
Trovan dui altri differenti in esso.
Dapoi terrai questo per consueto
Che'l lor produtto sempre sia eguale
Al terzo cubo delle cose note.
El residuo poi suo generale
Delli lor lati cubi ben sottratti
Varrà la tua cosa principale.
In el secondo de codesti atti
Quando che'l cubo restasse lui solo
Tu osserverai quest'altri contratti:
Del numer farai due part'à nolo
Che l'una in l'altra si produca schietto
El terzo cubo delle cose in stolo.
Delle quali poi, per comun precetto
Torrai li lati cubi insieme gionti
Et cotal somma sarà il tuo concetto.
El terzo poi di questi nostri conti
Se solve col secondo, se ben guardi
Che per natura son quasi congionti.
Questi trovai, et non con passi tardi,
Nel mille cinquecento quatro e trenta
Con fondamenti saldi e ben gagliardi
Nella città dal mar intorno cinta.

(L'ultimo verso allude al fatto che tartaglia trovò la formula mentre era in soggiorno a Venezia.)

I guai vennero quando Cardano violò il suo giuramento: nel 1545 pubblicò infatti la formula risolutiva nel suo trattato Ars Magna giustificandosi dicendo che Tartaglia non era stato il primo a scoprire la formula. La disputa fu grave ed accesa: Tartaglia non perdonò mai l'indiscrezione dal parte del suo collega...

Il tratto più affascinante della vicenda è l'alone di mistero nel quale i matematici rinascimentali effettuavano le loro ricerche, per non essere scoperti dai rivali e poter vincere le pubbliche disfide: un po' come facevano medici e stregoni (e tale fu Cardano: scienziato e mago).

Un esempio che rende bene l'idea di quel clima è il seguente, tratto dal libro Quesiti et inventioni diverse (1554): qui Tartaglia parla in prima persona, riportando in forma dialogica le sue dispute [gli accenti e gli apostrofi li ho aggiunti per maggiore chiarezza: altrimenti il testo è quale appare nei Quesiti].

 

Quesito XXII. Fatto da uno Vincenti di Gaffari adi 13 Agosto 1536, in la chiesa di San Giovane Paolo, in la capella di San Nicolò, isponendo io la tredicesima propositione del terzodecimo di Euclide publicamente, credendosi lui con tal suo quesito di farmi totalmente restar confuso.

VINCENTI: Certamente voi haveti isposta questa vostra lettione, over propositione tanto degnamente, quanto dir si possa. Ma vorria che voi me risolvesti anchora questo quesito.

Saggi diece de oro che tenìa
De argento in se la sua cuba radice
Costo ducati diece: or state al quia
Che alla rason medesima se dice.
Diece altri saggi che tenìa inserto
De argento in se la sua quadra radice
Costa ducati nuove intendi il merto.
Proportionalmente, qual dimanda
Che valse il saggio di ciascun incerto
A voi spirto gentil questo si manda.
Et perché ormai si spanda
La fama di colui che l'ha composta
Di Gaffari Vincenti è la proposta.

NICCOLO: Quando che uno vol arguire contra ad alcuno, che legga publicamente in qual che scientia, lui de' sempre arguire sopra le cose de lui lette, et dichiarate, nella sua lettione, over ispositione, et non in altre particolarità fuora di tal proposito, et se pur alcuno temerario (per mostrar anchora lui di sapere) mi proponesse, over parlasse di qualche altra particolarità fuora di tal proposito (come haveti fatto voi) il lettore può con suo honore recusare di darvi risposta, come cosa fuora di proposito, nondimeno allegramente accetto questo vostruo quesito, con questo patto però, che anchora voi ne accettasti un altro da me.

V.: Ma de vuolentiera.

N.: Havendo voi tanto laudato la mia isposittione, egli è da credere che voi l'habbiati rettamente intesa et perché non me ritrovo così all'improvviso alcuno più famigliar quesito che la presente propositione da me isposta, ve impongo che voi di nuovo qui publicamente la isponeti, et in questo meggio mandarò a tuor penna, et inchiostro, et vi risolverò il vuostro quesito, se saperò.

V.: Io ve dirò io non intendo Geometria, ma el mio quesito è in numeri, over di Algebra, si che preponetime un quesito in numeri, over in Algebra, che io lo accettarò et ve lo risolverò subito.

N.: Son contento se venereti a l'altra mia lettione ve lo porterò.

V.: Vinerà senza fallo.

 

QUESITO XXIII. Fatto dapoi l'altra lettione al detto Vincenti.

NICOLO: In fin de l'altra mia lettione, messer Vincenti, voi me preponesti quel vostro quesito che sappeti, et io lo accettai con questa conditione che voi ve dovesti anchora voi accettarne un altro da me et voi ve contentasti di accettarlo domente che tal mio quesito fusse in numeri, over per Algebra. Et così ve l'ho portato el qual è questo, trovatime uno numero che multiplicato fia la sua radice più 6 faccia a ponto 100.

VINCENTI: Ben lo risolverò. Ma diteme, haveti risolto il mio che io vi diedi.

N.: Messer sì che io l'ho resolto, et tal vostro quesito è molto bello et ingenioso, ma no è vostra farina. Perché voi confessasti quando vel desti che voi non havevi, over non intendevi Geometria et vostro quesito (anchor che sia proposto sotto ombra de numeri) è cosa geometrica, ma voi el doveti haver ritrovato scritto sopra qualche libro, da qualche persona dotta, et con tal particolarità ve reputati essere un gran uomo in gran facultà, ma colui che così positivamente se veste di panni d'altri presto se ne spoglia. Hor per venire alla conclusione, dico che 'l saggio del vostro oro valse ducati 1.1/90 più Radice cuba 1/72900 più radice cuba quadra 1/53144100000 più radice cuba quadra 1/5314410 più radice cuba 1/7290 più radice cuba quadra 1/810 et el saggio de argento valse ducati 9/10 men radice 1/10 più radice cuba 1/100 più radice cuba quadra 1/100000. Hor guardati sel vi pare che tal vostro quesito sia ben resolto.

V.: Sel se incontra con questo che adesso adesso vi mostrarò sun questo mio libro lui sarà ben resolto, et essendo altramente lui sarà falso.

N.: Et io dico che se la conclusione di quello che haveti sul detto vostro libro se incontrara con la mia, la vostra sarà bona, et essendo altramente la sarà falsa.

V.: Hor incontriamole un poco, la se incontra benissimo.

N.: Adunque confirmati che la sta bene.

V.: La sta per ben certo.

N.: Ho su a l'altra lettione vi aspetto con la resolution del mio.

V.: Venirò.

 

QUESITO XXIII. Fatto dal nostro amicissimo misser Hieronimo Trivisano dapoi l'altra lettione.

MISSER HIERONIMO: Molto mi allegro M.N. carissimo che'l Vincenti non habbia saputo risolvere il vostro quesito, et esser restato totalmente confuso, come meritava la sua audacia, qual se persuadeva con tal sua quistione de farve restare publicamente confuso, et fu volta ch'io dubitai che voi non la sapesti risolvere perché lui ha giurato non haver mai ritrovato huomo che se l'habbia saputa risolvere. Et perché in effetto tal ragione mi piace vorìa che per vostra gentilezza mi mostrasti il modo de risuolverla.

Il brano è estremamente significativo, ed a suo modo divertente: i toni dei due contendenti sono cortesi ma altezzosi, ed il vincitore schernisce il perdente mostrandone l'imbellità.

Certo, una dose di vanagloria e di protagonismo c'era: il matematico capace di risolvere pubblicamente e senza inganno i problemi a lui posti si sentiva una persona speciale, dotta e geniale, più simile ad un artista che ad uno scienziato, e si comportava nei confronti della sua materia come un iniziato a qualche dottrina arcana o magica.

Per concludere, a riprova di ciò, ecco la dedica al lettore che lo stesso Tartaglia riporta nei suoi Quesiti:

Chi brama di veder nove inventioni
Non tolte da Platon né da Plotino
Né d'alcun altro greco over latino
Ma sol da l'arte, misura e ragioni
Lega di questo le interogationi
Fatte da Pietro, Pol, Zuann' e Martino
(Sì come l'occorrea sera e mattino)
Et finelmente le responsioni.
Qui dentr'intendarà, se non m'inganno,
De' molti effetti assai speculativi
la causa propinqua del suo danno
Anchor de' molti atti operativi
Se vederà esseguir con puoc'affanno
Nell'arte della guerra profittivi
Et molto difensivi,
Con altre cose di magno valore
Et invention ne l'Arte maggiore.

* * *

Glossario

Agguagliare = confrontare due membri di un'equazione.

Arte maggiore = Algebra.

Avenimento = quoziente di una divisione.

Cavare = sottrarre.

Censo = la seconda potenza dell'incognita.

Cosa = incognita.

Lato = radice quadrata.

Partire = dividere.

Potenza = quadrato dell'incognita.

R = radice.

Residuo = binomio formato dalla differenza di due monomi.

Valuta = incognita.

Via = moltiplicare per.

* * *

Spiegazione della poesia sull'equazione di terzo grado

I primi due versi (Quando...discreto) descrivono l'equazione

x3+px=q

il terzo verso pone

q=AB

ed il quinto e sesto verso affermano che

AB=(p/3)3=p3/27

Per trovare A e B basta risolvere il problema di secondo grado

y2-qy=p3/27

che ha due soluzioni

y1 = q/2+(q2/4+p3/27)1/2

y1 = q/2-( q2/4+p3/27)1/2

I versi settimo ed ottavo dicono di considerare

(y2)1/3-(y1)1/3

ed il nono suggerisce

x=(y2)1/3-(y1)1/3

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